Rabbia: «Quando la malattia si manifesta, è già quasi troppo tardi.»

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Sorgente: TCS Info Feed

Birgitte Kallestat (†24), originaria della località norvegese di Fjell, è deceduta nella primavera del 2019 dopo aver contratto il virus della rabbia a seguito di un piccolo graffio procuratole da cucciolo di cane che aveva soccorso mentre si trovava in vacanza. Si tratta del primo caso di decesso umano per rabbia in Norvegia dal 1815.

Il Prof. Dr. med. Aristomenis Exadaktylos, primario e direttore della clinica del centro di pronto soccorso universitario (Inselspital di Berna), fornisce approfondimenti in merito.

Dottor Exadaktylos, come si viene contagiati dalla rabbia?
Come nei film: con un morso. In tutto il mondo la maggior parte dei casi di rabbia osservata negli esseri umani è trasmessa dal morso del cane. Negli USA, in Australia, America Latina e nell’Europa occidentale, invece, il contagio può avvenire anche da parte di pipistrelli o altri animali selvatici. Il virus è presente nella saliva di un animale rabbioso e viene di norma trasmesso attraverso un morso o una ferita da graffio. La Svizzera e l’Austria sono indenni dalla rabbia, ma la Germania no.

Dopo quanto tempo esplode la malattia?
L’aspetto più subdolo di questa malattia è il suo lungo periodo di incubazione, ossia l’intervallo che trascorre tra il momento dell’infezione e l’insorgenza della patologia, che può durare da qualche settimana a vari mesi. Quando, tuttavia, la malattia si manifesta, è già quasi troppo tardi.

Come si manifesta, dunque?
La rabbia è una malattia a carico del sistema nervoso, che si diffonde anche lungo le fibre nervose a partire dalla sede del morso fino al midollo spinale o al cervello. Spesso la rabbia non viene riconosciuta come tale, bensì confusa con altre patologie neurologiche. Sintomi tipici degli esordi sono perdita di sensibilità, dolore, spossatezza e altri ancora. Quanto più il virus giunge vicino al midollo spinale o al cervello, tanto più gravi saranno i sintomi.

In che modo la rabbia può essere diagnosticata?
L’importante è ricordarsi dell’eventuale contatto avvenuto con fauna «selvatica». L’intervallo utile per una cosiddetta profilassi post-esposizione, analogamente a quella adottata anche per l’infezione da virus HIV, è molto ridotto. La diagnosi in laboratori specializzati è assai complessa e non sempre affidabile.

La malattia è sempre letale?
Se la malattia si sviluppa completamente, sì – oppure provoca comunque gravi danni cerebrali o a carico del sistema nervoso.

Qual è la relativa terapia da mettere in atto?
Non esistono opzioni di trattamento con esito sicuro. Sono stati avanzati protocolli sperimentali, seppur non privi di rischi. La vaccinazione per la profilassi post-esposizione sopraccitata resta l’unica «terapia» comprovata.

Esiste un vaccino?
Sì, è possibile vaccinarsi in via preventiva. A tal fine, sono necessarie tre dosi nell’arco di un mese. Attraverso il vaccino vengono inoculati virus inattivati sotto pelle, consentendo all’organismo di produrre i relativi anticorpi. Dopo circa un mese, si diventa immuni al virus. Tutto molto semplice, quindi! Anche se si è stati morsi, è comunque possibile sottoporsi alla vaccinazione. In questo caso, vengono inoculati gli anticorpi specifici contro il virus e, parallelamente, si avvia la vaccinazione standard: il vaccino deve essere ripetuto fino a sei volte, ogni volta in punti diversi simultaneamente, per bloccare la diffusione del virus. Una procedura poco piacevole, ma in grado di salvare la vita.

Come ci si può proteggere?
Gli animali selvatici, così come i cani, non devono essere avvicinati, in quanto potenzialmente portatori di una malattia letale. Accarezzarli può uccidere, quindi evitare sempre di toccarli, anche se feriti o apparentemente mansueti. Rivolgersi subito a un medico in caso di morsi o graffi – oppure se ferite aperte o mucose sono venute a contatto con la saliva dell’animale selvatico. La buona notizia è che più ci si allontana dall'Europa, tanto più i medici locali conoscono a fondo la malattia.



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