Rientro al lavoro dopo un infortunio? «Prima avviene, meglio è!»

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Sorgente: TCS Info Feed

La Suva e l’organizzazione dei medici di famiglia Argomed uniscono le forze affinché i pazienti, dopo un infortunio, possano tornare a svolgere il proprio lavoro nel più breve tempo possibile. Il fattore decisivo è la comunicazione tra la Suva, il datore di lavoro e il medico.

Wolfgang Czerwenka è membro della direzione della Argomed Ärzte AG a Lenzburg e gestisce uno studio a Wettingen come medico di famiglia.

Wolfgang Czerwenka*, lei si impegna affinché i pazienti che hanno subito un infortunio possano riprendere la propria attività lavorativa quotidiana nel più breve tempo possibile. Perché questa fretta?
Oggi sappiamo che la ripresa dell’attività professionale diventa tanto più difficile quanto più a lungo la persona infortunata rimane incapace al lavoro. Non possiamo costringere nessuno a tornare in azienda, ma siamo convinti che un reinserimento rapido sia vantaggioso per il paziente e favorisca il processo di guarigione.

Da dove scaturisce questa convinzione?
Chi torna in azienda poco dopo l’infortunio le può confermare che il lavoro quotidiano, spesso, è la terapia migliore. Inoltre è importante che la persona infortunata non perda i contatti con il proprio contesto sociale, continui a sentirsi utile e a mantenere die ritmi regolari. Più una situazione è incerta e si trascina nel tempo, più le cose si complicano. Al contrario, prima avviene il reinserimento professionale, meglio è.

Anche i pazienti condividono questa idea?
In molti casi sì. Chi svolge un lavoro che gli dà soddisfazione si sente realizzato e la sua giornata acquista senso. Inoltre, è ancora più motivato a riprendere al più presto la propria attività professionale dopo un infortunio, anche se forse all’inizio dovrà accontentarsi di un grado di occupazione ridotto o ricoprire funzioni del tutto diverse.

Però ci sono anche casi di tutt’altro genere, vero?
Per alcuni l’infortunio rappresenta una vera e propria via d’uscita, per liberarsi definitivamente di un lavoro che detestano. In questi casi l’infortunio o la malattia vengono addirittura visti come un fenomeno positivo, quindi risulta difficile organizzare un reinserimento. E poi, in relazione a quest’ultimo aspetto, incidono anche differenze culturali.

In che senso?
Mentre in Svizzera la capacità lavorativa parziale è riconosciuta e ben vista, in un Paese come la Germania, ad esempio, ciò non avviene. Lì vi sono solo due possibilità: o si è malati o si è pienamente abili al lavoro; non esistono condizioni intermedie. A volte mi sento dire dai miei pazienti: «Finché ho dolore non lavoro».

Nel suo ruolo di medico, cosa fa per invogliare i pazienti a riprendere l’attività lavorativa?
È essenziale che tra medico e paziente si instauri un solido rapporto di fiducia. Inoltre, il medico ha bisogno di conoscere in dettaglio la situazione lavorativa concreta del paziente.

Cosa intende esattamente?
Ad esempio, spesso so solo che un paziente lavora «in cantiere o in magazzino». Ma non so cosa questo significhi concretamente. Il paziente svolge il suo lavoro in piedi o seduto? Deve sollevare pesi, oppure gli è richiesta una particolare sensibilità? Simili informazioni sono determinanti per consentire al medico di valutare le possibilità di reinserimento e stabilire il grado di occupazione. Il modulo della Suva relativo alla descrizione del posto di lavoro è uno strumento ottimale; purtroppo, al momento, sono pochi i datori di lavoro che lo compilano.

Che ruolo svolge il datore di lavoro nel reinserimento dell’infortunato?
Un ruolo estremamente importante. Ritengo che i datori di lavoro debbano essere richiamati più spesso al dovere riguardo a questo aspetto.

In che modo concretamente?
Alcune aziende, a seconda della situazione economica in cui versano, sono persino felici che un collaboratore si assenti per un certo periodo per malattia o infortunio. In questo modo la persona non lavora e l’assicurazione d’indennità giornaliera provvede a versare il salario. L’obiettivo da perseguire, invece, è che venga garantita di base l’opportunità di esercitare lavoro parziale. Le aziende devono essere pronte a reintegrare i propri collaboratori nel più breve tempo possibile dopo un evento infortunistico. Ciò andrebbe a beneficio di tutte le parti coinvolte.

Nel 2009 l’organizzazione dei medici di famiglia Argomed Ärzte AG e la Suva hanno lanciato il progetto «KIMSA», finalizzato a garantire ai pazienti cure adeguate e un rapido reinserimento dopo un infortunio. Come funziona questa collaborazione?
Sul piano teorico molto bene, i problemi si presentano più che altro sul piano pratico. L’esperienza sul campo dimostra che il volume degli infortuni gestiti presso gli studi dei medici di famiglia è molto ridotto. E se un processo non viene ripetuto regolarmente, ma solo un paio di volte all’anno, spesso ci si dimentica di come va svolto. Tuttavia, al momento stiamo intensificando ulteriormente la collaborazione con la Suva.



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